Grazie Presidente,
Presidente del Consiglio, Colleghe e Colleghi,
siamo tutti consapevoli che il prossimo Consiglio d’Europa rappresenta un momento importante nell’assetto delle future politiche energetiche, nell’ottica di una transizione energetica verso un sistema a ridotte emissioni di gas a effetto serra e con un’elevata efficienza energetica complessiva. Il Consiglio d’Europa, del 23 e 24 ottobre prossimi, rappresenta inoltre un’occasione imperdibile per gettare le basi per un rinnovato accordo internazionale sui temi del clima e dell’energia. Per l’Italia, farsi promotrice di obiettivi ambiziosi (utili però a sperare di raggiungere quegli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico ormai in atto) acquisterebbe un’eccezionale rilevanza sia in ambito europeo sia nel più ampio scenario dei prossimi appuntamenti delle Nazioni Unite, di Lima e Parigi. Insomma, per l’Europa, significherebbe giungere a questi appuntamenti, con le idee chiare e con posizioni forti e nette sulle scelte che noi europei vogliamo portare al tavolo del dialogo. Resta da chiarire, però, come vogliamo giungere a questi appuntamenti, capire ciò che vogliamo portare in dote e ciò su cui vogliamo batterci e su cui non siamo disposti a mercanteggiare. Purtroppo, oggi, la casa europea sembra più che mai disorientata. Si percepisce la sensazione che le istituzioni politiche e i decisori pubblici non abbiano il necessario senso di responsabilità per le sfide e le emergenze che siamo chiamati ad affrontare. Oggi, c’è l’urgenza di ridefinire “obiettivi” e “strategie”, soprattutto c’è l’urgenza di rimettere ordine in un sistema che è letteralmente impazzito dietro una molteplicità di contingenze, e spesso di convenienze geopoliche, economiche e sociali. Tutti elementi che hanno scippato con forza la precedenza ai temi dell’ambiente e che riportano indietro di decenni le azioni avviate per attenuare l’inquinamento della terra. A partire dal protocollo di Kyoto (che ha segnato una presa di coscienza mondiale sulla necessità di mettere in salvo il pianeta), tra i cittadini si è diffusa e rafforzata una nuova sensibilità per i temi ambientali. Una sensibilità che ha dato vita ad azioni concrete, che ha costruito nuovi modelli culturali e di sviluppo economico e che ha posto degli obiettivi concreti, misurabili, verificabili e rimodulabili. Ciò che è accaduto d’importante allora è che il processo aveva carattere mondiale. Non era circoscritto alle singole nazioni. Anzi proprio i paesi industrializzati – i paesi leader – hanno quasi sentito il peso di una maggiore responsabilità nel riportare l’ambiente al centro dell’agenda politica internazionale. Oggi non possiamo che constatare, a tutti i livelli istituzionali e nei diversi paesi, che questo clima è profondamente cambiato. Non è una sensazione, ma un fatto concreto: i paesi (europei e non solo), si muovono in ordine sparso, ciascuno seguendo la propria convenienza, infischiandosene delle conseguenze per l’ambiente. È appena il caso di ricordare la crisi russo-ucraina e il ruolo profondamente destabilizzante che stanno giocando le forniture di gas all’Europa. È il caso di ricordare il modo scomposto con cui l’Europa e la stessa Italia stanno reagendo a quella crisi. È il caso di ricordare l’inquietante ripresa d’interesse per i combustibili fossili convenzionali e non convenzionali, su avallo della stessa Commissione europea. In questo ritorno d’interesse per le fonti inquinanti e pericolose, non solo si riaccende ciclicamente la nostalgia per il nucleare mancato o mai sviluppato, come è il caso del nostro paese, ma la stessa Commissione europea (in questi giorni) ha dato il via libera ai finanziamenti pubblici previsti per la centrale nucleare di Hinkley Point, in Gran Bretagna.
Insomma, se non è proprio un “gettare la spugna” sul fronte della sostenibilità, c’è comunque un generale allentamento nell’ambito degli impegni e delle azioni necessarie per ridurre le emissioni. E anche negli atti e nelle azioni dei Governi, compreso il Suo, c’è una progressiva, pericolosa e irresponsabile perdita di consapevolezza sulle conseguenze di questo agire. Eppure lo stravolgimento del clima è una realtà, al punto che non si parla solo di “mitigazione” delle emissioni, ma di “adattamento” alle nuove e irreversibili condizioni climatiche. Il settore energetico sta attraversando una fase di transizione, da un vecchio metodi di produzione, verso nuovi modelli più sostenibile. Questa fase sta però incontrando ormai troppi ostacoli: (in un contesto in cui è forte l’influenza dei singoli stati, l’Europa stenta a mettersi alla guida delle scelte strategiche relative ai sistemi di trasporto e interconnessione internazionale). Questi ritardi hanno permesso al gas di acquisire un ruolo centrale nelle dinamiche energetiche europee e hanno portato alla decisione di giungere a un mercato unico dell’energia. Il nostro paese non si è semplicemente adeguato a questa tendenza, ma, come sempre, si è contraddistinto, ovviamente in peggio. Questo paese non pianifica: si tappano le falle e si scaricano sulle generazioni future costi e responsabilità. Il piano energetico, (se mai sarà approntato), probabilmente verrà prima del piano industriale (di cui non c’è traccia). Dovrebbe essere vero il contrario per dimensionare il sistema energetico in base al fabbisogno. Questo paese vende le proprie infrastrutture energetiche. È di fine luglio la cessione ai cinesi di una quota di Terna e di Snam, attraverso Cassa depositi e prestiti RETI. Questo paese di fatto disincentiva le rinnovabili. Con lo spalma incentivi del decreto competitività, sono state cambiate le regole in corso d’opera, contribuendo a rendere meno attrattivo il sistema Italia per tutti gli investitori esteri: chi aveva già investito è rimasto fregato. Infine è esploso nuovamente l’amore per gli idrocarburi, i combustibili fossili e tutto ciò che può essere nocivo per le persone e per l’ambiente.
Sembra che la soluzione a tutti i problemi l’abbia trovata lei, Presidente: via libera a trivellazioni, rigassificatori, termovalorizzatori e GNL.
Una curiosità. Come mai questi impianti nocivi e pericolosi, con lo sblocca Italia, saranno considerati d’interesse nazionale, mentre non sono considerate d’interesse nazionale le reti Terna e Snam?
Qual è il peso che, lei presidente, attribuisce all’ambiente nelle politiche energetiche?
Qual è la dote? Qual è il patrimonio di esperienze e di valori sulla sostenibilità che lei porterà domani al Consiglio d’Europa?
Si tratta di questioni centrali, ma noi vediamo un Governo troppo confuso, che stenta a comprendere la portata di un realtà in crescita, cito alcuni dati. A febbraio 2014, l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ha coperto il 38,9% della domanda e il 44,9% della produzione netta nazionale. Il GSE, nel 2012, ha stimato ricadute economiche del settore pari a 12,6 miliardi di euro con 53mila occupati permanenti e un indotto di circa 137mila addetti. A livello europeo, con un’economia che stenta a risollevarsi, rinnovabili e risparmio stanno destando forte interesse. Il raggiungimento degli obiettivi climatici ed energetici per il 2020, ad esempio, porterebbe a circa 5 milioni di nuovi posti di lavoro e a un risparmio fino a 500 miliardi di euro all’anno. A questi si aggiungerebbe un ulteriore risparmio di circa 200 miliardi grazie all’efficienza energetica. Noi vorremmo, Presidente, che l’Europa mostrasse maggiore convinzione su clima ed energia e fornisse adeguati strumenti. Noi siamo convinti che sarebbe un importante passo avanti se, nel quadro di riferimento al 2050, entro il 2030 le emissioni interne si riducessero al 55%; che l’energia da fonti rinnovabili coprisse il 45% del mix energetico e che si raggiungesse un risparmio energetico del 40%. Presidente, noi vorremmo che portasse questo in dote domani in Europa. Vorremmo che da parte sua e del suo governo ci fosse un impegno reale e forte su rinnovabili e risparmio energetico. Lasci perdere trivelle, idrocarburi e termovalorizzatori. Vorremmo che assumesse un impegno forte nel promuovere a livello europeo un’azione più coesa e coordinata nella definizione di una politica energetica comune. Una politica che rappresenti un’inversione di marcia rispetto al caos e al disordine che, su questi temi, sembra animare il nostro Paese e l’Europa.
fonte: www.andreavallascas.it
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